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SENZA VOLTO

PESHAWAR LA VITA DIETRO IL BURQA

Testo e Foto di Anna Alberghina

Posta sul margine del leggendario Khyber Pass, Peshawar, capoluogo del distretto di Khyber Pakhtunkhwa e antica capitale del regno buddista dei Gandhara, è il maggiore centro culturale, politico, e commerciale alla frontiera fra Pakistan e Afghanistan. Continua tuttora a rappresentare un importante crocevia tra le culture del sub-continente indiano e quelle dell’Asia Centrale ma è diventata, soprattutto, uno sbocco per il commercio di prodotti illegali quali l’oppio e i fucili kalashinov contrabbandati in gran quantità nei suoi animati bazar, nel cuore della città vecchia. Il Khyber Pass è un passo di montagna fra Pakistan e Afghanistan di enorme importanza strategica e militare. Parte integrante della Via della Seta vide transitare le armate di alcuni fra i più grandi condottieri della storia come Dario I, Alessandro Magno e Gengis Khan. Oggi, sul passo, da sempre porta di accesso al corridoio jihadista che si estende da Islamabad sino a Jalalabad, sventola la bandiera bianca dei Talebani e folle di persone cercano di varcare il confine. Peshawar è abitata in grande maggioranza dalla popolazione pashtun, nota per le sue prodezze militari, una delle poche che riuscì a contrastare l’impero britannico durante la sua espansione coloniale.

 

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Le aree tribali abitate dai Pashtun coprono un vasto territorio che va dal Pakistan all’Afghanistan, fino al confine con l’Iran. In Afghanistan ci sono circa 15 milioni di Pashtun, pari al 42% della popolazione afgana, mentre in Pakistan sono circa 25 milioni, pari al 15% della popolazione pakistana. Si tratta di 350 tribù raggruppate in cinque grandi schieramenti, il più grande dei quali è la tribù dei Durrani.   Ma chi sono veramente i Pashtun? Quali sono i loro tratti identitari? Essi, a dispetto del governo centrale, continuano a seguire il “Pashtunwali”, un codice etico e consuetudinario di origine pre-islamica. I suoi fondamenti regolano la vita quotidiana e vengono scrupolosamente osservati: essere ospitali con tutti i visitatori senza distinzione di razza, religione o nazionalità, proteggere con coraggio i deboli e tutti coloro che sono minacciati dai loro nemici, vendicarsi dei torti subiti, difendere la nazione ma anche la terra, la proprietà e la famiglia, essere fedeli alla tribù, lottare per la giustizia, credere in un solo Dio e difendere a tutti i costi l’onore delle donne. Dunque, mentre la Shari’a regola esclusivamente la condotta morale degli individui in campo privato, il Pashtunwali è il codice d’onore da cui dipende l’integrità della singola persona, della famiglia e dell’intera comunità.

 

 

Esso è amministrato dalla Jirga, costituita dai membri maschi più anziani della comunità, che si occupano della risoluzione dei conflitti e controllano la situazione generale della tribù. Tutto ciò permette di mantenere l’ordine sociale pur nell’assenza di un governo centrale. Di fatto i Pashtun non si servono di tribunali o poliziotti perché ritengono che i mezzi di cui dispongono per risolvere i dissidi sociali siano più efficaci, e, per questa ragione, non amano che lo stato cerchi di interferire con l’amministrazione delle loro comunità. Seguono la versione più antica dell’Islam sunnita che deriva dalla scuola Hanafita. Shari’a e Pashtunwali coesistono, ma, se viene a crearsi un conflitto fra i due, prevalgono sempre le regole del Pashtunwali.  Più volte nella storia, però, alcuni mullah hanno cercato di porsi al di sopra del Pashtunwali e di conquistare il potere politico facendo leva sulla religione, ma di solito sono stati messi a tacere dai capi tribù. Tuttavia negli anni ’70 e ’80 i mullah sono stati armati e finanziati da alcune potenze straniere che volevano cacciare i Sovietici dall’Afghanistan e così a poco a poco è nato il movimento religioso più duraturo e potente di tutti i tempi, quello dei Talebani.

 

 

Peshawar ospita una vasta comunità Pashtun che segue alla lettera i dettami più rigidi della religione. Moltissime donne indossano il burqa, il velo integrale che copre interamente il volto e che consente loro di osservare il mondo attraverso una griglia che ricorda le sbarre di una prigione. Sono conosciuti come “shuttlecock” burqa ossia burqa a “volano” e arrivano dall’Afghanistan. Esportati in Pakistan con l’avvento dei Talebani hanno la funzione di aumentare il livello di “purdah” ossia dell’obbligo delle donne di nascondersi alla vista degli uomini. La purdah o pardaa, letteralmente velo o tenda, è la pratica che vieta agli uomini di vedere le donne e si è probabilmente sviluppata nella Persia pre-islamica. Essa si attua sia con la segregazione fisica dei sessi che con l’obbligo di coprire i corpi al fine di proteggere l’onore del padre prima e del marito poi. L’abito imposto da questa tradizione è, in genere, il burqa che può includere o no un velo che copre il viso fino a nascondere gli occhi. Tutto ciò compromette notevolmente la vita sociale delle donne che vengono così private della loro identità e sono costrette a subire un quotidiano tormento che rende loro difficile muoversi o portare pesi e limita del tutto la visione laterale.

 

Possono mostrarsi diversamente abbigliate solamente ai più stretti parenti maschi e ad altre donne. L’imposizione il burqa non riguarda, però, tutte le comunità islamiche del mondo ed è una conseguenza di tradizioni locali, indipendenti dalle prescrizioni religiose dell’Islam. Nonostante le molte controversie, il Corano sancisce semplicemente l’obbligo per le donne di indossare un velo. Così avviluppate, le donne di Peshawar sembrano farfalle. Azzurre, bianche, nere o color ocra volteggiano nel vento che esalta i drappeggi dei tessuti. Bisogna, però, indossarlo davvero un burqa per sperimentarne la claustrofobica e soffocante sensazione. Al tramonto, le donne più povere si raccolgono dinanzi ai forni per ricevere del pane in elemosina. Nonostante le reti che coprono i loro volti e mi impediscono di scorgerne i tratti, si nascondono all’obiettivo della mia macchina fotografica. Impossibile decifrare le loro emozioni. Paura o lealtà verso la loro cultura? Solo il tempo ci darà delle risposte.

 

Ott 30, 2021AdminEmo2019
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