E’ impossibile condensare in poche righe la storia di una terra che ha visto transitare condottieri ed eserciti, sorgere e cadere imperi e che ha influenzato per millenni la cultura di molti popoli.
I luoghi interessanti sono innumerevoli. Non basterebbero mesi per scoprirli tutti. In questo viaggio decidiamo di visitare la Cappadocia e parte dell’Anatolia sud-orientale, ove, maggiormente, potremo apprezzare lo straordinario connubio fra cultura e bellezze naturali. Da Istanbul, poco più di un’ora di volo ci trasporta in Cappadocia dove ci aspettano case, chiese e villaggi scavati nella roccia.
Uno straordinario patrimonio di testimonianze rupestri realizzate tra il V ed il XIV secolo da monaci e contadini che, per sfuggire a persecuzioni ed assalti, costruirono le proprie dimore nelle formazioni di tufo, modellate dall’erosione, dando vita ad un mondo più vicino a quello delle fate che a quello reale.
Per primi cominciarono i vulcani che, in dieci milioni di anni, depositarono due o trecento metri di cenere e lapilli per fabbricare tufo di tutti i colori, poi vennero il vento e l’acqua per scolpire nell’altopiano le forme più bizzarre, quindi arrivarono gli uomini che, davanti a tanta bellezza, decisero di viverci letteralmente dentro!
Si inventarono un’architettura “in negativo”, ed è difficile immaginare come abbiano potuto ricavare stanze, navate, archi e capitelli, lavorando “per sottrazione”. Il modo migliore per ammirare questi panorami strabilianti è un volo in mongolfiera, quando le prime luci dell’alba tingono di rosa scenografie che sembrano tagliate in una torta millefoglie ed i famosi “camini delle fate” si ergono impudichi, facendo sorridere le signore.
Ed ecco che dall’alto, nel silenzio interrotto solo dal vento, si sorvolano Goreme ed il suo museo a cielo aperto, la rocca di Uchisar, la valle dei piccioni, disseminata di piccionaie, la valle rossa, la valle di Devrent, quella dei monaci. Altrettanto entusiasmanti sono le escursioni a piedi fra canyon, crepacci e pinnacoli per visitare Zelve, la città rupestre, aliena e misteriosa, abitata fino agli anni ’50 o le città sotterranee come Derinkuyu o Kaymakli, imponenti cantine-rifugio, opera della paura.
Nella suggestiva cornice di un caravanserraglio, assistiamo alla danza dei Dervisci Rotanti, chiamati anche “ Semazen”, una simbiosi di arte e forte spiritualità. La parola “ derviscio” significa “ colui che cerca il passaggio” ossia la soglia, l’entrata che conduce da questo mondo materiale ad un differente mondo spirituale.
I Dervisci appartengono all’Ordine dei Mevlevi, una confraternita Sufi, fondata a Konya nel 13° secolo da Mevlana Celaleddin Rumi che dedicò la sua intera esistenza alla ricerca dell’illuminazione religiosa. Il Sufismo propone un’interpretazione dell’Islam focalizzata sull’amore, la tolleranza e l’abbandono dell’ego. Muovendosi al suono di antichi strumenti, i Dervisci eseguono una coreografia sempre uguale che ha lo scopo di condurli all’estasi ed al ricongiungimento con Dio.
Testo e foto di Anna Alberghina